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La paura corre sul filo del rasoio!

La paura corre sul filo del rasoio!

Quando pensiamo ai maestri del racconto orrorifico, la mente vola subito al “cinema a stelle e strisce” o ai grandi romanzieri inglesi. Anche in campo fumettistico, oggi, le grandi penne hanno spesso nazionalità anglosassone, basta penare a Joe Hill, figlio ed erede di Stephen King, che ha dato vita a Locke e Key.

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Eppure, ci fu un tempo in cui gli italiani sapevano “il fatto loro”in tema horror,

soprattutto al cinema!

«Inutile piangersi addosso, anche perché è passata un’epoca ed è passato un periodo», così Michele Soavi parla a proposito del cinema Horror in Italia, oramai solo un ricordo degli anni ‘70 e ‘80. I Maestri della paura, Soavi, Fulci, Argento, Bava, Joe D’Amato, Deodato e altri, hanno fatto la storia dell’horror made in Italy e pellicole indimenticabili come “Suspiria”, “DellaMorte DellAmore” e “Tu vivrai nel terrore…l’aldilà” sono diventate un esempio di genere internazionale.

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Tutto inizia tra gli anni ‘60 e ‘70, quando in Italia si afferma una florida produzione di film horror. I maggiori esponenti di questo genere sono Dario Argento e Mario Bava, che impongono la propria visionarietà a livello mondiale  con ottimi incassi: ricordiamo “Profondo Rosso” che incassò ben 2 miliardi e 700 milioni di lire dell’epoca, piazzandosi così al 10º posto dei film dal maggior successo in Italia nella stagione cinematografica 197475.

Il pubblico italiano è un accanito consumatore di pellicole anglofone, perciò i produttori, per accaparrarsi il favore degli spettatori, impongono la lingua inglese o attori stranieri. Negli anni ‘80 l’horror diventa una parola d’ordine per il successo, e molti registi provenienti dagli spaghetti western, dall’erotico o poliziesco si danno all’arte della paura. La maestria e i pochi mezzi italiani affascinano il pubblico di ogni dove, tant’è che persino le imitazioni ottengono un successo maggiore rispetto ai modelli americani. Un esempio eclatante è “L’ultimo squalo” di Castellari, sequel “apocrifo” del film di Spielberg, che incassò 18 milioni di dollari in USA, e fu ritirato dalle sale perché c’era il rischio che superasse gli incassi del suo predecessore statunitense.

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Oltre alla carica visionaria, gli italiani hanno idee “da paura”, perciò nascono veri e propri filoni horror – splatter come i cannibal-movie, di cui ricordiamo “Cannibal Holocaust” di Ruggero Deodato, o “Antropophagus” di Joe D’Amato.

«L’horror italiano ha sempre avuto acquirenti all’estero, perciò i nostri film, girati in inglese, erano venduti in tutto il mondo e certe maestranze italiane apprezzate più fuori che in casa» afferma Soavi.

Questo perché gli horror, vietati ai minori di 18 anni, trovano grandi resistenze nei canali distributivi, perciò è quasi impossibile rintracciarli nelle sale, e anche la programmazione delle seconde visioni (come quella delle sale parrocchiali) li esclude a causa dei loro contenuti non adatti al pubblico dei più giovani.

 

La decadenza degli anni ‘90

Alla fine degli anni ‘80 l’horror italiano subisce una clamorosa battuta d’arresto. La concorrenza americana s’irrobustisce, grazie anche allo sviluppo tecnologico, che permise effetti speciali più elaborati rispetto ai metodi “caserecci” italiani. Secondo Soavi, il deciso appiattimento d’idee ha inflitto la “mazzata” finale alla produzione del genere: «ormai i soggetti continuavano a ripetersi e le sceneggiature non avevano più nulla da dire. Questo ha contribuito a non aver alcuna chance con i nostri concorrenti americani». Persino i grandi registi si ritrovano a corto di genio, e cominciano a inanellare violenti flop. Dario Argento, pur conservando un occhio magico e dedito alla costruzione dell’immagine, si disinteressa ai contenuti, perciò i suoi film scendono verso il grottesco: nel 1998 realizza “Il Fantasma Dell’Opera” che segna il declino inesorabile del grande maestro del “male”. «È stata una morte lenta e sofferta cui si aggiunse la polemica sul costume italiano di girare in lingua inglese e con attori stranieri», commenta Soavi.  

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I produttori, vista la situazione, decidono di non investire più sui film  horror, ormai non più competitivi. A quanto pare, quello degli italiani è stato un errore di “negligenza”, poiché un rinnovo d’idee e tecniche avrebbe certamente fatto la differenza. «È difficile non fare riferimento alle tecniche del passato» dice Soavi, però è anche vero che lo sviluppo di queste ultime avrebbe consentito una maggiore longevità dell’horror italiano.

In realtà, in quel periodo, all’horror si aggiungono una lunga schiera di condannati a morte, e cioè tutti i film di genere che hanno fatto la fortuna della tradizione italiana: dai polizziotteschi come “Milano calibro 9” e “Roma a mano armata”, agli spaghetti western, passando per il giallo all’italiana.michele soavi

Per Soavi: «Si lasciò morire una grande ricchezza italiana», ed effettivamente è vero, perché nel nostro paese questo cinema, snobbato dai critici, aveva la fortuna di essere amato dal pubblico e di essere realizzato pochi mezzi economici.

 

Durante il naufragio dell’horror e dei film di genere, si afferma in Italia il Cinepanettone. Film come “Vacanze di Natale” (1983) o come “Vacanze in America” (1984) iniziano ad attrarre l’attenzione del pubblico, inserendosi nel calendario natalizio degli appuntamenti immancabili. (“Natale sul Nilo”, 2002- 28.296.128 €; “ Natale a Rio”, 2008 – 24.678.792 €; “Natale a New York”, 2006 – 23.559.371 €; “Natale in crociera”, 2007 – 23.461.775 €; “Natale a Miami”, 2005 – 21.249.460 €; “Natale in India”, 2003 – 19.189.341 €; “Natale in Sudafrica”, 2010 – 18.654.578 €)

 

A oggi, l’horror italiano vive di pochi mezzi e con pochi reduci.

Dario Argento continua imperterrito a sfornare film nostalgicamente trash, e alcuni coraggiosi si cimentano nell’auto produzione. Secondo Luca Ruocco, selezionatore dei lungometraggi del FantaFestival romano «l’horror non è scomparso, ma è stato “costretto” a spostarsi su un territorio liminale, invisibile ai più, che trova la giusta vetrina all’interno di manifestazioni come i festival […] L’evoluzione “forzata” più visibile è stata, quindi, quella del doversi adattare alle restrizioni del low budget: medaglia a doppia faccia, in quanto ingabbia la creatività autoriale all’interno delle sbarre produttive ma, allo stesso tempo, rende registi e sceneggiatori più liberi di esprimersi». In sostanza, l’horror non piace al pubblico generalista, perciò i produttori non hanno alcuna voglia di rischiare. Questi film di cui parla Ruocco sono distribuiti in rete, e rivolti sostanzialmente a una ristretta nicchia di fedelissimi e amanti del genere. Ne è una testimonianza l’esperienza di Claudio Di Biagio e Luca Vecchi, che grazie a un’operazione di crowfounding sono riusciti a racimolare i finanziamenti necessari per realizzare un fan movie sull’indagatore dell’incubo – “Dylan Dog- Vittima degli eventi” .

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Nel frattempo sono decaduti anche i cinepanettoni, rimpiazzati con successo da commedie come “Quo Vado” di Checco Zalone, che ha fatto “strike” classificandosi campione di incassi “dall’inizio dei tempi”.

Gli italiani, catturati dalle mode internazionali, riempiono le sale con l’arrivo dei blockbuster. Segnaliamo qui di seguito i film che hanno maggiormente incassato dagli anni ‘90 fino ad oggi, per tracciare una parabola dell’evoluzione dei gusti cinematografici nel nostro paese:

  • “Balla coi lupi”(1990, 12 milioni di euro)
  • “Jurassic Park”(1993, 15 milioni di euro)
  • “Titanic”(1997, 42 milioni di euro)
  • “Chiedimi se sono felice”(2000, 28 milioni di euro)
  • “Harry Potter e la pietra filosofale”(2001, 25 milioni di euro)
  • “Natale sul Nilo”(2002, 28 milioni di euro)
  • “Il Codice da Vinci”(2005, 29 milioni di euro)
  • “Natale a New York”(2006, 23 milioni di euro)
  • “Natale in crociera” (2007, 22 milioni di euro)
  • “Avatar”(2009, 65 milioni di euro)
  • “Che bella giornata”(2011, 43 milioni di euro)

 

Come si può notare dalla classifica, il pubblico italiano premia soprattutto i grandi blockbuster statunitensi, ai quali resistono comunque, con grandi risultati, i cinepanettoni e le commedie italiane (Aldo Giovanni e Giacomo, Benigni, Pieraccioni tra i maggiori incassi, senza contare il “caso” Checco Zalone degli ultimi anni).

C’è sempre, però, un’eccezione che conferma la regola. Alcuni registi italiani come Federico Zampaglione (“Shadow”, “Tulpa”), Ivan Zuccon (“Nympha”, “Colour from the dark”) e Gionata Zarantonello (“The Butterfly Room”) hanno realizzato un cinema horror in grado di varcare i confini nazionali, riscuotendo discreti consensi all’estero, soprattutto in USA.

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Questo successo affonda le radici nelle abitudini del pubblico americano, che negli anni è stato educato a certa cinematografia.  Nella grande industria del cinema statunitense, l’horror è tra i prodotti di maggior successo. Attualmente gli Usa, insieme al Giappone, si classificano come i maggiori produttori di questo genere, perciò le grandi Major cercano costantemente nuove idee e spunti per dare nuova linfa alle sceneggiature “nere”.

 

Dal fenomeno “The Blair Witch Project” alla ricerca di nuove idee

È il 1999, e due registi statunitensi alle prime armi danno il via a un fenomeno pubblicitario senza precedenti: fingono di ritrovare un nastro girato da un gruppo di ragazzi scomparsi durante la ricerca della strega di Blair. Questa macchina mediatica guadagna 250 milioni di dollari in tutto il mondo, battezzando il genere del mockumentary / found footage (film realizzati parzialmente o interamente con un metraggio preesistente, successivamente riassemblato in un nuovo contesto, nei quali eventi fittizi appositamente realizzati per la trama sono presentati come reali o comunque creati per lo scopo della narrazione.

Dopo “The Blair Witch Project”, molti altri autori realizzano prodotti simili, con ottimi risultati.

All’alba del 2000, gli Stati Uniti si cimentano anche nei remake di film horror orientali di successo. Il fatto è che pian piano il bacino delle idee si sta esaurendo, e i produttori delle maggiori Major USA si danno al saccheggio copioso delle intuizioni estere. L’occidente accoglie con entusiasmo il simbolismo e la filosofia spiritista provenienti dal sol levante, nonostante i rimpasti americani. Un esempio eclatante di questo gradimento è “The Ring” (Gore Verbinski, 2012) remake di “Ring” (Hideo Nakata, 1998) capace di incassare 130 milioni di dollari solo negli Stati Uniti.

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Certo è che questi remake, nonostante il loro successo, non reggono il confronto qualitativo con gli originali. Il punto è che, gli autori statunitensi, non potevano replicare il folclore tipico di quelle terre senza farne parte.

L’horror made in USA, nel nuovo millennio, non subisce una crisi di mercato, ma d’idee. Tra i vari tentativi di rianimazione del genere, nel 2009, si colloca “San Valentino di sangue 3D” girato con l’innovativa telecamera Real 3D che permette allo spettatore di sentirsi “all’interno” dello schermo, e dunque parte del film. L’esperimento della Real 3D riesce, e il film incassa 100 milioni di dollari in tutto il mondo. Un altro fenomeno horror da milioni di dollari è la saga “Saw – L’enigmista” (James Wan, 2004), che inaugura il filone del torture porn, un sottogenere splatter basato sulla tortura e il massacro, che dà la luce una lunga serie di pellicole come “Hostel” (Eli Roth, 2005) e “Martyrs” (Pascal Laugier2008). In questo panorama di mode e influenze, nascono i tormentoni letterari, che approdano al cinema. È il caso di “Twilight” (USA, 2008), diviso in quattro capitoli, che ha ossessionato per anni le teenager di tutto il mondo incassando in totale quasi tre miliardi di dollari.

 

Creatori di mondi

L’americano Tim Burton e lo spagnolo Guillermo del Toro, hanno rilanciato il cinema horror gotico creando mondi oscuri ricchi di personaggi neri e tenebrose. La filmografia di Tim Burton annovera successi milionari a partire da “Edward mani di Forbice” fino all’ultimo blockbuster “Alice in Wonderland”. Burton e Del Toro condividono due grandi talenti: il disegno e la visionarietà. Strumenti decisamente indispensabili per inventare universi fantastici e crepuscolari, colmi di creature insolite e grottesche.

Guillermo del Toro costruisce film come “Il labirinto del fauno” (2006) o “La spina del diavolo” (2001), che diventano pietre miliari, inaugurando il filone gotico – spiritista.

Da del Toro in poi, i cineasti ispanici riempiono le case di spiriti e maledizioni come nel caso di “The Others” (2001) e “The Orphanage” (2007).

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L’Horror non morirà mai

Il cinema, fin dalla sua nascita, ha sempre venduto emozioni, sogni e paure. La gente paga il biglietto per accomodarsi sulle poltroncine e astrarsi per circa due ore. Questo meccanismo permette ai generi come l’horror, la commedia e altri di non temere la morte: il pubblico, infatti, si sente rassicurato dalla confezione classica dei generi, poiché sa cosa aspettarsi dal film.

L’industria cinematografica americana, da sempre, produce successi e blockbuster seguendo questa linea “aziendale”; inoltre essa sforna manie e tormentoni che si accaparrano l’affetto del pubblico per diversi anni: è il caso delle saghe a capitoli.

“Il signore degli anelli” ha sfornato capitoli per tre anni consecutivi, incassando quasi tre miliardi di dollari.

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In Inghilterra con “Harry Potter”, Daniel Radcliffe è cresciuto insieme a milioni di adolescenti grazie ad una saga che ha fatto epoca, e che ha totalizzato più di sei miliardi di dollari in tutto il mondo.

È difficile fare una stima dei generi che attualmente hanno maggior presa sul pubblico, si può invece parlare dei fenomeni blockbuster che fanno epoca, o realizzano successi planetari.

La Disney ha creato fenomeni cinematografici grazie alla scuderia coltivata da Disney Channel, come Hanna Montana e Violetta, capaci di incassare cifre miliardarie; oppure esplodono mode d’autore come Tarantino, che tra “Bastardi Senza Gloria” e “Django Unchained” ha totalizzato 750 milioni di dollari in tutto il mondo.

 

Il nuovo cinema televisivo
Negli ultimi anni il cinema di qualità ha ristretto i margini entrando negli schermi TV: le Major Usa, infatti, hanno dato il via alle serie d’autore con la collaborazione dei canali tematici, pay per view e via satellite.
Si tratta di serial costruiti con maestria e curati nel minimo dettaglio; prodotti che, nella maggior parte dei casi, superano la qualità artistica di gran parte della cinematografia moderna, con costi stratosferici: “Breaking Bad”, serial dell’emittente via cavo statunitense AMC, è costato 3 milioni di dollari a episodio.
Anche questi prodotti televisivi seguono la regola dei generi mettendo tutti d’accordo, ad esempio per quanto riguarda l’horror, le serie più di successo sono ”The Walking Dead” e “True Blood”.

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Negli ultimi anni stiamo inoltre assistendo a un cambiamento sensibile della fruizione dei contenuti televisivi: il caso più eclatante è quello di “Netflix”, società statunitense che offre un servizio di streaming online on demand, accessibile tramite un apposito abbonamento. Netflix sta riscontrando un largo consenso di pubblico, soprattutto con la serie “House of Cards” interpretata da Kevin Spacey. Presente in una quarantina di paesi in tutto il mondo, la piattaforma non ha ancora esordito nel nostro paese a causa dei ritardi nello sviluppo della banda larga.
Con probabilità il futuro del cinema risiede nel web, e dunque nella fruizione solitaria del prodotto filmico. Questa tendenza, se da un lato si adegua a un pubblico tecnologico e variegato, sempre più abituato alla portabilità dei contenuti grazie ai più svariati device tecnologici, dall’altro snatura l’essenza della settima arte: spettacolo sociale e momento di aggregazione e condivisione.

Federica Bello